martedì 6 ottobre 2015

Io non ho il coraggio di Don Rosa!

Recentemente la mia dolce metà mi ha regalato i primi due volumi della Don Rosa Library, una serie di eleganti tomi in pubblicazione negli Stati Uniti che ripercorrono cronologicamente la carriera del grande artista Disney Don Rosa, epigono principale del Maestro dell'Oregon Carl Barks, l'uomo dei paperi, colui che ha fisicamente inventato Paperon DePaperoni e parenti.
Invito tutti gli appassionati del fumetto Disney, ma anche chi ama il fumetto in generale, a recuperare tale prezioso tesoro, che oltre ad essere una raccolta cronologica di tutte le storie realizzate da Rosa dal 1987 al 2007, arricchisce il tutto con redazionali scritti dallo stesso autore pieni di informazioni sulla sua carriera ed aneddoti davvero gustosi.
Proprio da uno di questi aneddoti è partito il desiderio di scrivere questo post, perché nelle parole di Rosa ho rivisto tutta la mia vita, e la domanda che nasce in fondo al cervello, quella che eludo ogni giorno della mia vita, è schizzata fuori con una meteora infuocata al seguito: e se anche io quando ne ho avuto l'opportunità, avessi rischiato tutto per il mio sogno?


Per chi non ha molta dimestichezza con la lingua inglese riassumo brevemente: il Signor Rosa lavorava per l'avviatissima azienda di costruzioni di famiglia e da anni coltivava la passione per il lavoro di Barks e per il disegno, sfogando tale passione per diletto su fanzine indipendenti e condividendo il suo lavoro con una stretta schiera di appassionati e amici.
La crisi del fumetto statunitense degli anni '70 lo aveva definitivamente scoraggiato e dunque il buon Rosa si mise da bravo a lavorare per i suoi. Poi arrivò la possibilità di disegnare una storia con protagonisti i paperi, complice una serie di fortunati eventi e la rinascita lenta ma progressiva del settore.
Rosa dovette scegliere tra una vita di comodità e agiatezze e quello che era il sogno della sua esistenza fin da quando aveva memoria, e scelse il secondo, senza sapere come sarebbe andata, rischiando il tutto e per tutto. All'epoca Rosa era già un uomo sposato e aveva tutte le responsabilità di un capo famiglia, ma scelse di rischiare, e io credo di sapere perché: perché voleva essere felice.

E qui arrivo al titolo del post: io non ho il coraggio di Don Rosa, non lo ho avuto qualche anno fa quando avrei potuto rischiare e non penso che lo avrei mai, e questo mi ha fatto pensare se in questo modo io potrò mai essere davvero felice.
Ma forse, ho pensato anche, il coraggio non è un pezzo del nostro DNA, forse il coraggio non è un'attitudine come l'arte in genere (cit.), forse il coraggio arriva quando deve arrivare, nel momento giusto, proprio un istante prima che scada il tempo per diventare il più grande cartoonist Disney per un ventennio, oppure un giovane regista indipendente.

E così, pensando che forse il mio momento di essere coraggioso deve ancora venire, mi viene la voglia di scrivere e di girare, perché è tanto che non lo faccio e d è davvero arrivato il momento di rimettersi in moto.


Qui accanto il cofanetto contenente i primi due volumi della Don Rosa Library, introvabile al momento, ma restano comunque reperibilissimi i singoli volumi giunti al terzo tomo.

lunedì 13 luglio 2015

WAYWARD PINES - Televisione Utopica

La serie Tv prodotta da M. Night Shyamalan (Il Sesto Senso) viene attualmente trasmessa in contemporanea con gli Stati Uniti dalla piattaforma Sky italiana, e senza perdersi in preamboli vi invito, se non la conoscete ancora, a leggere il seguente salvifico link, in modo che io possa subito partire con una riflessione particolare che la serie mi ha suggerito con forza, ora che siamo arrivati al sesto episodio e la storia ha preso decisamente forma:


https://it.wikipedia.org/wiki/Wayward_Pines

Quello di cui volevo parlare in questo breve articolo è il motivo che ha fatto in modo che questa serie televisiva, tratta da una trilogia di romanzi molto popolare, entrasse subito nella mia top ten personale delle più belle serie televisive di sempre: l'impianto narrativo basato sulla instaurazione di una vera e propria comunità autosostenuta attraverso i dettami dell'utopia comunista (applicati, si intenda, nell'unico modo possibile, ovvero quello sbagliato).

Ok ferma tutto, cosa ho detto???

Mi rendo conto che ad un primo acchitto questa mia affermazione possa sembrare eccessiva rispetto a una serie di chiaro stampo fantascientifico, in cui una comunità messa insieme da un uomo che si è elevato a capo supremo degli ultimi scampi dell'umanità, vive in un continuo clima di sorveglianza e suddivisione schematica dei compiti e in cui le regole fondamentali sono quelle di non parlare mai del passato e di pensare solo ed unicamente al bene del proprio piccolo (ed unico) gruppo umano.
Ma se ora rileggete l'ultimo periodo, credo che un pensierino alla storia dell'ex Unione Sovietica lo possa fare anche il vostro gatto.
A Wayward Pines il pensiero è pilotato e instradato fin dalla scuola pubblica, che è unica per tutti i ragazzi della cittadina, e in cui la biologia consiste nel mostrare ai giovani virgulti della famigerata "Prima Generazione" come è bello riprodursi.
Wayward Pines è geniale perchè i suoi sceneggiatori hanno usato un modello che non è imitabile ma solo riproducibile, ovvero la storia dell'umanità, la sua inimitabile incoerenza che mescola senza soluzione di continuità il bene e il male, immergendo tutte le piccole e immense vicende che le danno forma in un calderone così avvincente da essere inesauribilmente affascinanete per chiunque, persino per chi non la conosce nemmeno superficialmente.

Insomma lo Stalinismo post-apocalittico di David Pilcher (uno splendido Toby Jones), che arriva (guarda un pò) a giustiziare persino i suoi più stretti collaboratori per la paranoia della serpe in seno, in contrasto con l'insurrezionalismo stoico dell'uomo comune Ethen Burke (Matt Dillon), disegnano un quadro che dimostra indubbiamente che la storia può essere davvero il miglior romanzo da cui trarre una storia per immagini in movimento.

Non dovete perdere questa serie, consiglio del vostro amichevole regista di quartiere.

domenica 28 giugno 2015

MARVEL'S DAREDEVIL - Due parole sulla serie Marvel di Netflix dedicata al supereroe cieco di Hell's Kitchen


L'universo cinematografico Marvel è a tutti gli effetti un sogno che diventa realtà per tutti coloro che da anni seguono le avventure cartacee dei supereroi della Casa delle Idee, e da quando a questo nuovo meraviglioso mondo in movimento fatto di effetti speciali ed attori in carne ed ossa si è aggiunta la sterminata sfera di interesse del mezzo televisivo e dell'online, anche quei supereroi meno mainstream come Daredevil hanno l'opportunità di diventare realtà sotto gli occhi dei fan.
E mai come in questo caso l'espressione "diventare realtà" potrebbe essere più azzeccata: tutti i più iconici e affascinanti aspetti della serie a fumetti ideata da Stan Lee e Bill Everett vengono riproposti nella serie seguendo il modello contemporaneo più eccellente della saga fumettistica di Daredevil, ovvero quello creato dal trio di sceneggiatori che ha traghettato il personaggio nella modernità: Frank Miller, Brian Micheal Bendis ed Ed Brubacker; sono infatti completamente loro le atmosfre cupe e noir di tutta la serie, condite da quel meraviglioso affresco di personaggi che compongono il quadro di Hell's Kitchen, così come viene chiamato il quartiere di New York dove sono cresciuti Matt Murdock, interpretato più che dignitosamente da Charlie Cox e il suo socio Foggy Nelson, messo in scena con grande cura e mestiere da Helden Henson; i due giovani avvocati che condividono il sogno di salvare la loro città dall'illegalità dilagante con il potere della legge.
Ma come ben sappiamo Matt ha ben altri mezzi oltre a quello della legge, e se invece non lo sapete QUI c'è tutto ciò che c'è da conoscere sul personaggio e sulla sua storia editoriale.

la serie è stracolma di riferimenti al Marvel Cinematic Universe e si inserisce perfettamente nel grande costrutto che anno dopo anno sta riuscendo a riproporre la magia dei fumetti nel mondo delle immagini in movimento, e questo non è un dettaglio per nulla secondario, dato che è proprio nell'ipertestualità che risiede il segreto di tutto il successo dei supereroi marvel: questi uomini con poteri incredibili e altrettanti problemi si incontrano, si scontrano, si legano e si separano in una grande imitazione iperbolica della vita che non può che affascinare ed attrarre inesorabilmente a se.
Questo vale per i neofiti e tanto più per gli appassionati di lunga data, i quali si sentono appagati nel vedere un articolo di giornale che parla della battaglia di New York appeso nello studio di Ben Urich
(Vondie Curtis-Hall), o le gambe di Stilt Man nell'officina di Melvin Potter.

Una nota a parte e doverosa va fatta per l'antagonista della serie, che non poteva che essere Wilson Fisk, alias Kingpin, interpretato magnificamente da Vincent D'Onofrio (il palla di lardo di Full Metal Jacket), in una performance che riempie il personaggio di una luce allo stesso tempo inedita ma familiare, rinnovandolo nel rispetto della tradizione.
Daredevil è una serie netflix in tredici episodi, che sfrutta a suo vantaggio la lunga tradizione fumettistica del personaggio della Marvel Comics noto come Daredevil e ne rinnova iconografia e storia senza mai sbagliare un singolo colpo, rimanendo all'interno del genere della crime story con derivazioni tribunalistiche, ed espodendo gloriosamente nei momenti del supereroismo classico.

Da vedere.