lunedì 2 gennaio 2017

THE YOUNG POPE, tutta una questione di arroganza.


Paolo Sorrentino si è garantito da solo, con una carriera in costante crescita artistica, il potere di fare ciò che vuole, a tratti ostentando persino una certa arroganza, mai come uomo ma sicuramente come regista.

E l'arroganza, a mio modesto parere, non è sempre una cosa brutta, anzi: direi che l'arroganza artistica può esserci nella stessa misura in cui possono esistere alcune rischiose e dispendiose riforme strutturali nel corso di una legislatura di governo, e quella misura è il prodotto interno lordo, per farla breve.
Se nel caso appena descritto, dunque, per poter dare effettiva e funzionante efficacia a una riforma servono dei soldi, nel caso di Sorrentino per realizzare opere cinematografiche (e ancor più televisive come in questo caso) così pretenziose e provocatorie servono i numeri del talento, del gusto estetico e della naturale capacità innata di raccontare una storia per immagini.




Questa premessa si riferisce alla natura di The Young Pope, la prima serie televisiva dretta da Sorrentino, prodotta dall'italiana Wildside di Fausto Brizzi, Lorenzo Mieli e Mario Gianani, in collaborazione con la compagnia francese Haut et Court TV e la spagnola Mediapro e scritta da Sorrentino, Stefano Rulli, Tony Grisoni e Umberto Contarello.

Dicevamo dunque dell'arroganza, questo minimo comune denominatore di cui è pregna questa serie di dieci episodi già rinnovata per una seconda stagione, pensata come un film di dieci ore, in cui si narra l'ascesa di Papa Pio XIII, al secolo Lenny Belardo, interpretato da uno splendido Jude Law,  un cardinale giovane, mite e dallo scarso peso politico. Abbandonato in orfanotrofio in tenera età, Lenny è continuamente tormentato da tale abbandono e ha sviluppato un rapporto molto turbolento con la fede e con Dio. Inaspettatamente, Lenny viene eletto pontefice dal collegio cardinalizio (in particolare nella figura del cardinale Voiello), che crede forse di aver trovato una pedina da poter manovrare a piacimento. Tuttavia Lenny, salito al soglio pontificio con il nome pontificale di Pio XIII, si dimostrerà un papa controverso e per nulla incline a farsi comandare, machiavellico e manipolatore.

I dieci episodi si svolgono realmente come un lungo film di dieci ore, ma Sorrentino non disdegna gli stilemi delle serie televisive, dalla sigla ai tempi narrativi, mescolando le carte in tavola continuamente, passando senza soluzione di continuità dalla dimensione del sogno a quella della verità fattuale, in cui il Papa si sdoppia, facendoci interrogare continuamente sulla sua reale natura.
Pio XIII è arrogante, proprio come la serie che parla di lui, è arrogante come la storia dello Stato Pontificio, è arrogante come la pubblicità di un prodotto che si venderebbe anche da solo.
Sorrentino incornicia tutti gli elementi del suo esperimento seriale con la sua consueta perfezione formale, vi inserisce tutte le sue ossessioni che ben conoscono sia i suoi estimatori che i detrattori, esagera, ingigantisce, strizza l'occhio... proprio come Jude Law lo fa verso il pubblico all'inizio di ogni episodio, facendoci capire che per tutta la serie non farà altro che prenderci per i fondelli, manipolarci, perché noi siamo semplici uomini, e lui il Vicario di Cristo.

The Young Pope merita di essere visto con un attenzione particolare, per il numero infinito di argomentazioni che smuove, per la bellezza dei luoghi (una Roma spogliata quasi completamente dalla presenza umana  che ci ricorda quella meravigliosa de La Grande Bellezza), per le interpretazioni strepitose non solo del protagonista ma anche di un magistrale Silvio Orlando nella parte del cardinale Voiello e di una splendida ed enigmatica Diane Keaton in stato di grazia nella parte di Suor Mary.
Ma soprattutto merita di essere visto perché è bello, bello in senso filosofico, bello nella sua essenza più pura, di una bellezza disarmante, e Dio sa di quanta bellezza abbiamo bisogno, in questa scardinata penisola italica.


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